Non c’è dubbio che molti enti di terzo settore dedichino risorse di tempo e denaro alla formazione. Ma sono sempre risorse ben spese? Nonostante la buona volontà e magari il rilievo dei docenti coinvolti, spesso – dopo una soddisfazione immediata – capita di chiedersi a cosa sia servita realmente quell’attività.
Perché accade questo? Non pensare la formazione come lezione
Uno dei problemi riguarda l’idea che abbiamo della formazione. Memori dell’esperienza scolastica, o di pratiche del passato, pensiamo che la formazione consista nell’identificare un tema interessante, chiamare un bravo relatore e convocare i nostri soci o i nostri lavoratori perché lo ascoltino parlare, al più riservando un tempo per delle domande.
In questo modo, la formazione si riduce ad un trasferimento di conoscenze. Non voglio affermare che le conoscenze non siano importanti, esse rappresentano le categorie con cui interpretiamo la realtà e sono essenziali per vivere consapevolmente nel mondo, sia come individui che come organizzazioni. Ma le conoscenze da sole non bastano. Quanti casi potremmo citare di studenti laureatisi a pieni voti ma incapaci di diventare bravi lavoratori?
La vera sfida è far crescere le competenze, che consistono nella capacità di mettere in moto quel mix di conoscenze, abilità e atteggiamenti di volta in volta più adeguati rispetto alla situazione e al compito dal svolgere. Progettare una formazione basata sulle competenze significa favorire la crescita dei nostri soci nella capacità di trasformare concretamente la realtà. Che è esattamente il motivo per cui il Terzo settore esiste.
Inoltre tutti noi sappiamo per esperienza come, ascoltando un pur bravo relatore, il risultato frequente sia che una percentuale bassissima di quanto dice si ferma nella nostra memoria. L’effetto di quelle parole svanisce rapidamente senza quasi lasciare traccia.
Una formazione esperienziale
È ormai acquisito dagli studi scientifici (si pensi ai contributi di Dewey, di Kolb, di Jarvis…) che il modo più efficace per favorire l’apprendimento passi attraverso l’esperienza. Valorizzare l’esperienza significa innanzitutto riconoscere che le persone che si intende formare non sono sacchi vuoti, sono persone con esperienze significative alle spalle, tutte competenti a loro modo. La formazione, quindi, deve interpellare quell’esperienza, per esempio attraverso i metodi biografici.
Il secondo aspetto della formazione esperienziale consiste nell’idea che la formazione stessa deve essere un’esperienza significativa, deve attivare le persone, chiamare in gioco non solo i pensieri e i concetti, ma anche le emozioni e il corpo. Aiutati a riflettere sull’esperienza in corso, attraverso tecniche formative adeguate, le persone collegheranno proattivamente ciò che avviene in aula con gli schemi mentali preesistenti, favorendone un cambiamento. E il cuore e la prova dell’apprendimento è proprio il cambiamento.
Una formazione per l’innovazione
Il cambiamento è essenziale per la sopravvivenza e la crescita di ogni persona e anche di ogni organizzazione. Nel contesto di un ente di terzo settore, il cambiamento può significare, ad esempio: rispondere a nuovi bisogni, sviluppare nuovi programmi, migliorare le pratiche esistenti o adottare nuove tecnologie.
Attraverso il cambiamento, le organizzazioni possono migliorare l'efficienza e ridurre i costi, aumentare l’efficacia dei servizi, rispondere meglio ai bisogni dei loro beneficiari, trovare nuove risorse, adattarsi a un contesto in evoluzione. Il cambiamento permette di innovare, creando nuove opportunità per l'impatto sociale.
La formazione può essere un potente strumento per questo fine.
Pensiamo, ad esempio, alla formazione per la crescita di competenze trasversali (o soft skill) come la leadership, la gestione dei conflitti, la comunicazione assertiva, l’empatia o la collaborazione. Oppure a una formazione-ricerca per sviluppare la capacità di leggere il territorio e le sue esigenze. O ancora a una formazione-facilitazione che mira a ripensare la vision dell’organizzazione, per far crescere l’impegno di tutti in direzioni condivise e rafforzare la cultura organizzativa.
Per mirare a questi fini non basta organizzare delle lezioni. Occorre progettare interventi trasformativi, fidandosi del fatto che liberare le energie delle persone sia il modo più efficace (oltre che più rispettoso) per far crescere un’organizzazione e farla camminare verso il futuro.
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