Oggi in Italia sono circa 36.000 gli enti religiosi civilmente riconosciuti, 36.000 enti che si trovano di fronte ad importanti scelte da fare alla luce della Riforma del Terzo Settore, scelte da cui dipendono anche la loro sostenibilità e la loro indipendenza. La sostenibilità delle proprie attività, legata al mantenimento del proprio carisma, è uno dei punti critici che gli enti religiosi si sono trovati ad affrontare negli ultimi anni. Strumenti come l’8xmille sono contributi spesso inadeguati per sopperire al fabbisogno complessivo delle opere portate avanti dagli enti ecclesiastici, e che nel corso degli ultimi anni hanno visto una graduale riduzione.
Oggi la Provvidenza e la buona volontà non bastano più, non è più il tempo di improvvisare azioni occasionali per raccogliere fondi che sostengano progetti a favore della comunità. Anche per gli enti religiosi è giunto il momento di intraprendere la strada del Fundraising; una strada basata su formazione, professionalità e competenze che servono a coinvolgere e fidelizzare i donatori, sapendo comunicare da una parte il valore dei progetti che si chiede di sostenere e dall’altra il loro impatto all’interno della comunità.
Ma fare fundraising è lontano dal carisma?
l Fundraising è, nelle parole di Henri Nouwen, “forma primaria di ministero, attraverso ad essa annunciamo una visione, condividiamo un sogno, una missione e invitiamo altre persone a prenderne parte”.
Certamente una delle principali preoccupazioni che pervade gli enti religiosi è quella, avviando una strategia organizzata e continuativa di Fundraising, di snaturare il proprio Carisma, di mercificare la propria mission e il proprio fondatore, senza pensare però alla propria storia. Le origini di tutte le congregazioni ci raccontano di fondatori e fondatrici: uomini e donne che hanno saputo aggregare attorno a loro un gran numero di persone generose le quali attraverso donazioni e lasciti hanno permesso agli Istituti di nascere, crescere e svilupparsi. Si può a ragione affermare che, senza i tanti benefattori, molte Congregazioni non avrebbero potuto realizzare tutto il bene che hanno realizzato.
Gli enti religiosi da sempre attuano politiche di raccolta fondi: fin dal Medioevo sono stati catalizzatori di donazioni e lasciti. Pensiamo ad esempi anche più recenti, come Don Bosco, che non avrebbe costruito tante opere senza “chiedere” ai suoi benefattori, o ancora Don Orione e Don Calabria solo per citarne alcuni. Ma oggi gli enti religiosi, pur essendo stati coloro che ci hanno insegnato il fundraising, risultano ancora ancorati ai tradizionali canali di finanziamento, e portano avanti iniziative in modo spontaneo e poco organizzate. Questo in parte dovuto alla percezione che hanno sul bisogno di Fundraising: spesso sono abituati, anche nei momenti più difficili, a trovare soluzioni, a riorganizzarsi per non far mancare l’aiuto e il sostegno a chi ne ha bisogno, forse quello che manca è proprio un’ambizione, che sta invece nella natura del Fundraising.
Perché fare fundraising?
Gli enti religiosi, portatori dei loro carismi, sostengono con molteplici forme e modalità l’attenzione ai malati, ai poveri e agli ultimi, ai bisognosi, agli immigrati, a ragazzi e giovani che vivono situazioni di disagio. Il Fundraising permette di garantire risultati estremamente significativi se intrapreso con sistematicità, consentendo agli enti religiosi di:
❖ continuare a realizzare nel tempo interventi di sostegno ai progetti relativi alla propria mission e al proprio carisma: l’attenzione agli ultimi, ai bisognosi.
❖ programmare interventi di manutenzione e restauro dei luoghi di culto e del proprio patrimonio immobiliare attraverso il coinvolgimento di soggetti privati di diversa natura, nelle forme comuni dell’erogazione liberale o della sponsorizzazione;
❖ coinvolgere in modo non limitato ad occasioni definite, quali eventi o manifestazioni temporanee, bensì diretto a stabilire rapporti duraturi e reciprocamente vantaggiosi con i soggetti finanziatori, specie all’interno delle comunità locali.
Da dove partire per non sbagliare?
Gli enti religiosi hanno una qualità che li caratterizza: un grande senso di appartenenza che poche altre organizzazioni laiche possono vantare, senso di appartenenza che si basa su una condivisione di valori che entrano nelle scelte di vita delle persone in una sovrapposizione tra i propri valori personali e quelli dell’ente. Il fundraising deve puntare principalmente alla valorizzazione e alla promozione delle relazioni con gli stakeholder ancor prima di puntare direttamente al denaro. E per fare questo, come abbiamo già sottolineato è necessaria una strategia che sia a lungo termine, continuativa e professionale. Pianificare in modo attento in termini di:
Tempi
Risorse umane
Risorse economiche: senza un investimento iniziale di risorse economiche non è possibile avviare una strategia
Strumenti, a cominciare dal Database, cuore della strategia e di ogni azione di fundraising.
Ma attenzione!
Avviare una strategia di fundraising, significa avviare una trasformazione culturale all’interno dell’ente, trasformazione che presuppone il coinvolgimento non soltanto dei vertici, ma anche dei collaboratori, i dipendenti, i volontari, ... Quando si comincia a ragionare sulla strategia a misura dell’ente emergono aspetti che coinvolgono le persone che fanno parte dell’ente le quali sono il cuore e il motore dell’ente stesso. Tutti gli aspetti della vita dell’ente vengono coinvolti, per questo è importante che l’ente religioso progetti adeguatamente la sua organizzazione interna e si prenda cura delle persone che ne fanno parte; che sia consapevole che l’avvio di una strategia di fundraising presuppone un ripensamento del brand e un posizionamento sul “mercato”, un coinvolgimento dell’amministrazione, basti pensare all’investimento e alla necessità di pianificare il cash flow.
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